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Santi e tradizioni venete

 El Carneval 

Significato di Carnevale 
Il Carnevale è una festa che si celebra nei paesi di tradizione cristiana, particolarmente in quelli cattolici. La parola carnevale deriva dal latino "carnem levare" (eliminare la carne), poiché anticamente indicava il banchetto a base di carne (per chi poteva permetterselo) che si teneva subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima (Cuadrijexima).  Il culmine delle celebrazioni carnevalesche è il martedì (el marti graso) che precede il mercoledì delle ceneri (mercore de 貫 senari). Durante Carnevale e la Quaresima, come del resto altri periodi particolari, o le festività cristiane dell’anno (per esempio il Natale) trovano riscontro in tradizioni pre-cristiane europee, le cui usanze persistono ancor oggi, sebbene a livello d’eredità inconsapevoli.

El Carneval a Venesia 
Le origini del carnevale di Venezia sono molto antiche. La prima testimonianza risale ad un documento del Doge Vitale Pietro LonghiFalier del 1094. Nello scritto, dove si parla di divertimenti pubblici, è riportato per la prima volta il vocabolo Carnevale. Queste particolari feste risalivano a remote consuetudini, secondo le quali, a tutta popolazione era concesso un breve periodo interamente dedicato al divertimento ed ai festeggiamenti in  maschere e costumi. L’anonimato dei travestimenti otteneva l’effetto di livellare, per alcuni periodi, le divisioni sociali, autorizzando persino la pubblica derisione delle autorità. Il primo documento ufficiale, che dichiara il Carnevale di Venezia una festa pubblica, è però un editto del 1296. Il Senato della Veneta Repubblica dichiarò festivo il marti graso, ossia il giorno precedente la Quaresima.
Fino all’eliminazione del Veneta Serenissima Repubblica, il Carnevale durava a Venezia sei settimane, dal 26 dicembre al Mercoledì delle Ceneri. Il Carnevale della Serenisima raggiunse il suo massimo splendore nel secolo, quando era conosciuto a livello internazionale e costituiva un’attrazione turistica ed una mèta ambita per migliaia di forestieri. Durante il Carnevale le attività e gli affari dei veneziani passavano in secondo piano, e molto del loro tempo era dedicato a festeggiamenti, scherzi, divertimenti e spettacoli, allestiti in tutti i maggiori campi della città. C’erano attrazioni d’ogni genere: giocolieri, acrobati, musicisti, danzatori, spettacoli con animali e varie altre esibizioni, che intrattenevano un variopinto pubblico d’ogni età e classe sociale, con i costumi più fantasiosi e disparati. I venditori ambulanti vendevano ogni genere di mercanzia, dalla frutta di stagione ai ricchi tessuti, dalle spezie ai cibi provenienti da paesi lontani, specialmente dall’oriente. La fine del Carneval era segnalata dalle campane, le quali annunciavano inizio della Cuadrijexima. Molte persone mascherate, allora, si toglievano le maschere e verso l’alba entravano nelle chiese per assistere alla prima messa. Altre persone, invece, non ancora soddisfatte dei festeggiamenti si recavano in piazzetta, dove già era stato allestito il pulpito per le prediche di quaresima, anticipando per scherzo, con grida e lazzi, le omelie quaresimali.

Festa del Xioba Graso
L’origine di questo giorno di festa risale ad un antico episodio storico. Nel 1162 il patriarca di Aquileja Ulrico, aiutato da Bautaalcuni feudatari Friulani, assalì il patriarca di Grado Enrico Dandolo, costringendolo a fuggire a Venezia. Immediatamente il doge Vidal Michiel II andò con un’armata contro Ulrico ed i dodici feudatari sconfiggendoli e facendoli prigionieri. Gli sconfitti furono costretti a pagare la libertà con un tributo annuo di dodici pani, dodici porci ed un toro. Ogni anno nel giorno dell’anniversario della vittoria, avvenuta di giovedì, si festeggiava in Piazza S.Marco condannando a morte i dodici maiali ed il toro (gli animali erano una chiara allusione al Patriarca ed ai 12 feudatari friulani). Le carni erano distribuite ai Pregadi (senatori) ed i pani ai carcerati. In ricordo della battaglia, inoltre, nella sala del Piovego alcuni Pregadi afferravano con bastoni di ferro dei piccoli castelli di legno, raffiguranti quelli dei dodici feudatari sconfitti. Nel 1420 con l’estinzione del dominio temporale dei patriarchi d’Aquileja, il tributo fu fornito dal Serenissimo Governo e l’uccisione dei maiali fu sostituita con l’atterramento di dodici castelli di legno. In Piazzetta S. Marco, inoltre, il Doge, la Signoria e gli ambasciatori stranieri assistevano ad una serie d’altri giochi e manifestazioni all’uopo realizzate. Si allestiva una machina (un’imponente struttura di legno) comprendente degli ampi palchi rialzati con una gran torre quadra centrale, contenente i fuochi d’artificio. Lo spettacolo era aperto dai membri delle Arti dei Fravi e di quella dei Bekeri, che, indossando vestiti particolari, tiravano tre buoi inghirlandati, ai quali era tagliata la testa. L’esecuzione era un atto dimostrativo della loro abilità, infatti, con solo colpo dello spadone a due tagli che avevano in dotazione, dovevano tagliare il capo degli animali senza sbattere con la lama sul terreno. Dalla cella del Paron de caxa (campanile di S. Marco) era legata una fune che arrivava fino alla riva della Piazzetta, da questo cavo scendeva un uomo che dopo aver fatto alcuni giochi d’abilità scendeva a terra ad omaggiare il Doxe e poi ritornava in cima al campanile. Con gli anni questa manifestazione subì numerose variazioni.  Nel 1500 si chiamava xvo這 de el turco, poi il turco fu sostituito da un uomo con le ali, il quale era appeso con degli anelli alla corda ed issato sul campanile e fatto scendere a gran velocità lungo la fune. Questo nuovo personaggio era un angelo, e fu coniato il termine di xvo這 dell’Anxo這. Vi furono alcune altre edizioni che videro gli acrobati utilizzare per i loro spettacoli degli animali, barche e varie altre figure, rendendo l’impresa sempre più difficile, furono provati persino xvo赧 collettivi. Nel 1759, l’esibizione finì in tragedia: ad un certo punto, l’acrobata si schiantò al suolo tra la folla inorridita. Da questo momento il programma si svolse sostituendo l’acrobata con una gran colomba di legno che nel suo tragitto, partendo sempre dal campanile, liberava sulla folla fiori e coriandoli, così il nome diventò: xvo這 de 豉 co這nbina.                                                             

Gli altri intrattenimenti prevedevano l’uso dei due palchi laterali della machina, dove un gruppo di arsenalotti eseguiva la Moresca, la quale era una specie di ballo militare figurato con programmati atteggiamenti e precisi colpi di spade di legno, corte e piatte, detti mele corte. Il rito iniziava con lento tempo musicale, aiutato dal suono di qualche tamburo per dare il ritmo, il quale progressivamente accelerava (mosse, passi e cadenze dei colpi aumentavano conseguentemente), il suono prodotto era simile a quello delle nacchere. Il combattimento simulato finiva con un ritmo ossessivo. Questa specie di danza armata è in riferimento ad una battaglia dei veneti con i Mori saraceni dopo il rapimento di ragazze e la battaglia per la loro riconquista. Questa cerimonia è ancor oggi rappresentata nell’isola di Curzola, in Dalmazia. Sui palchi si succedevano, poi, due squadre di Castellani e di Nicolotti, i quali si misuravano alle cosiddette Forze d’Ercole (una specie di complesse piramidi umane). A conclusione della festa, infine, erano accesi i fuochi artificiali.

Le maschere
Indossando maschere e costumi era possibile celare totalmente la propria identità annullando in questo modo ogni forma d’appartenenza personale a classi sociali, sesso, religione. Il saluto che risuonava di continuo incrociando un nuovo "personaggio" era semplicemente Bon dì siora maskara. La partecipazione gioiosa e in incognito a questo travestimento collettivo era l’essenza stessa del Carnevale. Un periodo spensierato di liberazione dalle proprie abitudini quotidiane, da pregiudizi e maldicenze. Tutti facevano parte di un gran palcoscenico mascherato, in cui attori e spettatori si fondevano in un unico ed immenso corteo di figure e colori. Dal 1271, vi sono notizie di produzione di maschere, scuole e tecniche per Bautala loro realizzazione. I cosiddetti mascareri, che divennero veri e propri artigiani realizzando maschere di fogge e fatture sempre più ricche e ricercate, furono riconosciuti ufficialmente come mestiere con la Mariego豉 (statuto) del 10 aprile 1436 (conservata nell’Archivio di Stato di Venezia).  Indossare maschere e vestiti era consentito dal giorno di S. Stefano fino al marti graso, escluso le feste della Circoncisione di Gesù e della Purificazione di Maria (presentazione di Gesù al Tempio), ma la pratica fu poi estesa per quasi tutto il resto dell’anno (eccettuati 15 giorni della Sensa e dal 5 ottobre al 16 dicembre). La Serenissima emanò numerose leggi per regolare l’uso delle maschere e dei travestimenti ad iniziare dal 1339, proibendo una serie d’usi deleteri quali: girare di notte per la città, il trasporto di armi; l’entrata nei luoghi sacri; la frequentazione delle case da gioco; la prostituzione; etc. Le pene comminate per le inosservanze erano piuttosto severe. Oltre ad una multa salata, i contravventori erano banditi per quattro anni dal territorio della Repubblica.         
  
Le maschere principali che giravano per la città erano: Pantalon, Xane, Brigela, Arlekin, Matacìn (o Pagliaccio), Trufaldìn, Tonìn Bonagrasia, Cokieri con la frusta, Diavoli. Il travestimento più comune nel Carnevale antico, soprattutto dal XVIII secolo, rimasto in voga ed indossato anche nel Carnevale moderno, è la Baùta.  Questa figura, prettamente veneziana, indossata sia dagli uomini sia dalle donne, è costituita da una particolare maschera bianca denominata larva, da un tricorno nero e da un avvolgente mantello scuro, chiamato tabaro. La bauta non era utilizzata solo durante il Carnevale, ma anche a teatro, in altre feste, negli incontri galanti ed ogni qualvolta si desiderasse la libertà di corteggiare od essere corteggiati, garantendosi reciprocamente il totale anonimato. La particolare forma della maschera, molto ampia vicino alla bocca, assicurava la possibilità di bere e mangiare senza doverla togliere. Un altro costume tipico di quei tempi era la Gnaga (una denominazione onomatopeica), un travestimento da donna per gli uomini, costituito da indumenti femminili di uso comune, da una maschera con le sembianze da gatta e da una cesta al braccio che solitamente conteneva un gattino. Il personaggio si atteggiava a donnina popolana ed emetteva suoni striduli e miagolii equivoci. Le donne, invece, indossavano un travestimento chiamato Moreta, costituito da una piccola maschera di velluto scuro, indossata con un delicato cappellino, con degli indumenti e dei veli raffinati. La Moretta era un travestimento muto, poiché la maschera doveva essere tenuta sul volto con i denti (un bottone interno serviva a tale scopo), per questo motivo era chiamata anche serveta muta.

Il Carnevale e i teatri
Il Carnevale diede impulso ad un numero crescente di spettacoli mascherati allestiti nei teatri privati della città. Gli eventi erano spesso allestiti e finanziati da famiglie nobili veneziane, le quali intravidero presto l’esigenza di affidare le rappresentazioni, sempre più elaborate, a grandi artisti e veri professionisti della recitazione. Questi spettacoli in luoghi privati erano inizialmente riservati ad un ristretto pubblico di famiglie nobili. Verso la metà del 1500, seguendo il grande sviluppo e la richiesta di questo genere artistico, a Venezia aprirono numerosi altri piccoli teatri, rivolti anche ad un pubblico popolare.
Verso l’inizio del 1600, con l’incremento del numero e della qualità delle compagnie teatrali, formate ormai da artisti professionisti ed apprezzate anche fuori città, si svilupparono vere e proprie attività legate al mondo della commedia teatrale, delle arti sceniche e dell’artigianato dei costumi e delle maschere. Emersero numerosi e talentuosi autori teatrali, (Angelo Beolco detto Ruzzante, A. Calmo, C. Gozzi) che diventarono celebri rappresentando opere sempre più raffinate e complesse. La definizione di commedia dell’arte nacque proprio a Venezia nel 1750, quando il drammaturgo e librettista Carlo Goldoni lo introdusse all’interno della sua commedia Il teatro comico.
Il carnevale dopo la Serenissima

Il carnevale dopo la Serenissima
Nel 1797, con l’occupazione francese di Napoleone e con quella successiva austriaca, nella città storica la lunghissima tradizione fu interrotta per timore di ribellioni e disordini da parte della popolazione. Solamente nelle isole maggiori della Laguna di Venezia, come Burano e Murano, i festeggiamenti di Carnevale proseguirono il loro corso, anche se in tono minore. Questo fino agli inizi degli anni ’70, quando gli studenti delle scuole superiori di Venezia riscoprirono il carnevale. I ragazzi si fronteggiavano gettandosi manciate di farina, che sfociavano in vere e proprie battaglie tra scuole. Queste battaglie lasciavano i campi principalmente quello di S.Bartolomeo, quello più frequentato, con uno strato di farina di alcuni centimetri, come se avesse nevicato. Con gli anni le battaglie iniziarono a degenerare prendendo sempre più di mira anche gli altri cittadini ed i negozi. Con la scusa che “a carnevale ogni scherzo vale” qualcuno pensò di abbinare al lancio della farina, quello delle uova. La proibizione che ne seguì, invece, di sgonfiare definitivamente il carnevale stimolò gente comune e associazioni varie a riscoprire l’essenza più vera della festa: quella del travestimento e della burla bonaria.
Dalla seconda metà di quegli anni inizia perciò una crescente partecipazione popolare al travestimento. Iniziò una vera e propria gara al travestimento più bello e fantasioso. Molti partecipanti creavano gruppi, che diventarono sempre più ampi, creando delle parate di personaggi. Albergatori ed altre associazioni di categoria legate al turismo, che intravidero un nuovo business in grado di ampliare l’offerta turistica anche in inverno, sollecitarono il comune di Venezia ad organizzare il Carnevale. Dal 1980 il Comune iniziò così a stanziare una sempre maggiore quota di finanziamenti pubblici per realizzare spettacoli musicali, teatrali, etc, in Piazza san Marco e poi anche nei maggiori campi della città, che diventarono via via sempre più grandiosi e costosi. Il carnevale istituzionalizzato proseguì in questo modo fino alla fine degli anni ’90, quando per mancanza di finanziamenti pubblici, per disaffezione progressiva dei veneziani (infastiditi dall’invasione turistica) per il progressivo spopolamento, la festa si è progressivamente ridotta nel numero e nella grandiosità delle manifestazioni ed accorciato il periodo. In questi ultimi anni oramai il Carnevale è una festa ridotta ai due fine settimana ed al martedì grasso, la partecipazione dei turisti e dei veneti lo stesso. In questi giorni il centro di San Marco è ancora invaso dalla gente che arriva non più per partecipare (travestendosi e mascherandosi) ma solo per far parte di un evento mediatico, per vedere cosa succede e scattare foto.
                                                                                                         

Testi consultati
Giuseppe Tassini – FESTE E SPETTACOLI – Filippi Editore Venezia, 2009
Giustina Renier Michiel – ORIGINE DELLE FESTE VENEZIANE - Filippi Editore Venezia, 1998
www.wikipedia.com - Il Carnevale di Venezia




Fabio Bortoli